La Provincia lunedì, 24 settembre 2001                     SPETTACOLI                             44co

 

IL COMMENTO

Ma la solidarietà sconfigge la morte

Non si rivisita un classico impunemente, in teatro e nell’arte in genere, dato che è impensabile ricondurlo alle stesse condizioni che erano proprie al pubblico coevo. E’ una considerazione che si ripete ad ogni rappresentazione del repertorio classico per eccellenza, la tragedia greca. Ed ecco allora che si ammettono le rappresentazioni accomodate secondo lo spirito del tempo.

Prendiamo l’Alcesti euripidea, per esempio. Nel 1950 Alberto Savinio la rifece, ribaltandone il significato primario, ribattezzandola Alcesti di Samuele, dove l’eroina, trasformata in ebrea durante l’Olocausto, si sacrificava pur sempre per salvare la vita al marito, ma se ne pentiva poi, come non accade nel capolavoro di Euripide, e non desiderava affatto di riprendere il suo posto nel mondo. Con simili cambiamenti sostanziali, quella diventò dunque non l’Alcesti di Euripide, ma l’Alcesti di Savinio. E così oggi, per quanto il traduttore-adattatore-regista Sergio Porro abbia badato a mantenere integro l’originale, ma in una versione dal linguaggio scabro, spoglio, quotidiano, l’Alcesti diventa proprio sua, per vari motivi: perché ha le caratteristiche, che gli sono congeniali, da scena “povera”, ridotta ai suoni, ai colori essenziali della natura; perché accentua le espressioni verbali, denudate delle antiche amplificazioni mitopoietiche, con il gesto, i simboli terragni da civiltà contadina; perché alterna alle frasi intelleggibili addirittura la balbuzie, l’afasia, insomma la “non parola”. Con lui, la tragedia non si tramuta soltanto in un intreccio di significati diversi, con spunti da commedia persino comici, e quindi non si limita a introdurre soltanto le trasgressioni umoristiche con un Eracle zuzzurellone davvero godibile, ma fa intendere di aver avuto un principio conduttore. E questa idea-guida è una speranza: la morte non cancella la vita se l’uomo è capace di governare il destino facendo appello a tutta la sua ricchezza interiore e accettando l’aiuto di chi lo attornia. L’Alcesti di Porro muore sulla scena come volle Euripide, e muore con dolore, con tutto il pathos dell’addio. Ma ritorna dall’Ade dal momento che un amore più forte della morte, la solidarietà fra gli esseri umani, la chiama. Mai, come in questo momento di tensione, tale incoraggiante messaggio coglie nel segno. La tragedia greca ridiventa attuale nei periodi di difficoltà.

Alberto Longatti