SIPARIO. La compagnia canturina aprirà l’Autunno Musicale a Como
La tragedia di Euripide rivive in un adattamento di grande effetto
CANTÙ - Luce ed ombra, desiderio di vita e destino di morte: «Alcesti» di Euripide intreccia con sapienza elementi tragici e sentimenti d’inebriante profondità. La versione che sta provando i1 «Teatro artigiano», nel segreto discreto del suo laboratorio è bella da mozzare il fiato. Aprirà con ogni probabilità in settembre la rassegna «Autunno musicale», a Como.
Certo, alcuni dettagli ancora non sono a punto, ma la tragedia prende via via forma e i personaggi si definiscono, stagliandosi sullo sfondo animato e vibrante di un coro rivisitato in chiave moderna che interpreta la coscienza collettiva, lo sdegno e la pietà. La regia di Sergio Porro è al solito sapiente, sintetica, icastica, lucida e senza sbavature. Cruda, a tratti. Fin da subito. Il pubblico viene ammesso ad medias res: Alcesti è già sul suo letto di morte. Ha accettato di morire al posto del marito, Admeto. Ed è una morte lenta, disperata, ineludibile. Il pubblico assiste, giustamente impotente, al compiersi di un destino che lo precede e che, si intuisce, lo seguirà, spettatore immobile, attonito. Alcesti, giova ne sposa dà la vita per il ma rito, trasformandosi da moglie in madre e consentendo al marito-figlio una nuova nascita: un gesto d’amore estremo che rischia di spezzare Admeto, incapace di de cifrare la vita e di confrontarsi con la morte. Alcesti giganteggia, titanica, caparbiamente attaccata alla vita, che ella davvero conosce e ama, ma tragicamente certa della sua fine eppure non rassegnata. Al suo fianco, ad assisterla. una muta, perché il dolore è ineffabile, inesprimibile. A turbare il lutto della casa di Admeto irrompe il solare Eracle, a cui la morte di Alcesti viene tenuta nascosta. Sarà la sua forza a riscattarla dalle tenebre e dal le mani del crudele Thanatos, icona ossessiva della morte. Luce ed ombra, dicevamo, e il contrasto si incarna nel bianco e nero dei costumi, ideati da Peppo Peduzzi. Di grandissimo effetto le scenografie studiate per il «Teatro artigiano» dallo scultore Valerio Gaeti, che ha piegato i1 ferro fino a farne, con geometria precisa, il talamo di Alcesti, il suo feretro e nave di Caronte. La compagnia sta lavorando sulla tragedia da tre anni: ne è uscito uno spettacolo in cui canoni classici e intuizioni innovative s’intrecciano con efficacia. Il canto funebre è l’eco della metrica classica, mentre il coro amplifica l’alternarsi dei sentimenti, in un tessuto vibrante in cui anche le dissonanze s’intonano. In scena una grande Alcesti, Fiorella Rovagnati, uno scanzonato e risoluto Eracle, Bruno Tortoreto, un Admeto incapace di morire e di vivere senza Alcesti, Gigi Leoni, un Thanatos crudele fino all’indifferenza, Tarcisio Negrini, un codardo Ferete, Elio Tagliabue, un’emozionante muta, Anna Romano e ancora il coro (Loredana Bianchi, Elena Bruno, Josephine Frangione), e Caronte, Osvaldo Ballabio.
(crt)