Tra le rivelazioni che l’Autunno Musicale sta proponendo a gruppi talora sparuti di spettatori, vi è sicura mente l’Alcesti di Euripide, che Sergio Porro ha messo in scena per la seconda volta sabato sera nello spazio shed della Ticosa con la compagnia canturina “Teatro Artigiano”.
L’allestimento è costruito su un gioco sottile e dialettico vita-morte, che crea per quasi due ore di spettacolo una tensione straordinaria che avvince il pubblico. Il regista sa evocare con mirabile sapienza chiaroscurale questo sottile contrasto, realizzato nel vivacissimo fluire del racconto, tra personaggi e situazioni. Talora è lo scontro tra Ferete e Admeto che s’ impone all’attenzione, in altri casi tra Eracle e la casa che piange la morte di Alcesti.
Quest’immagine eraclitea del flusso eterno, si coglie nella scena iniziale dei personaggi che tolgono dal fiume i ciottoli e richiamano in vita sonorità inaudite. Come gli stessi canti per Alcesti sul catafalco sono corali di rara bellezza evocativa. Miti antichi sottendono la ricerca di Sergio Porro: che va alla ricerca con cura di ogni materiale adoperato per le sue messinscene, riuscendo a piegare alla sua volontà anche le pietre e i legni, le sculture di Valerio Gaeti e i più in credibili attrezzi della bottega del ferro di Antonio Pecoraro. Mai prima d’ora però Porro era riuscito a far cantare così coralmente una compagnia di attori: con poche intuizioni fonda mentali, uno scavo nell’interiorità di ciascun personaggio coinvolto nella recita. Su tutto sovrasta il mistero della vita, intesa quasi come l’élan vital di Henry Bergson: così Porro firma il suo capolavoro.
Giancarlo Montorfano